Atlante i4.0: l’innovazione più antica del mondo

Spenderesti dei soldi della tua azienda per promuovere i prodotti di un concorrente?

E se, ad un certo punto, lo stato ti obbligasse a farlo ?! che cosa ne diresti?

In Italia ci sono delle imprese e dei professionisti che vedono impiegata una parte delle proprie tasse per promuovere un gruppo di concorrenti arbitrariamente selezionati dallo stato.

Le tre categorie in questione sono gli Innovation manager, le PMI Innovative e le Startup Innovative. Oltre a queste, possiamo inserire nel novero dei fortunati tutti coloro che si occupano di tecnologie e servizi per la “digitalizzazione” delle imprese.

Come succede questa cosa?

Tutti i politici, da qualche anno a questa parte, hanno incredibilmente cominciato a parlare di innovazione. In particolare si parla di “Digital Transformation” e di “Fabbrica 4.0”. Ma cos’è questo “4.0”?

Si parla di “4.0” perché il tempo che viviamo è quello della quarta rivoluzione industriale.

Parlare di “digitale” e di “digital transformation” non è sufficiente per descrivere il periodo che attraversiamo. La quarta rivoluzione industriale è sicuramente spinta dall’evoluzione digitale.

Internet rappresenta un eccezionale canale di collaborazione, divulgazione e approvvigionamento di informazioni, componenti, dispositivi e innovazione.

La potenza di calcolo disponibile, l’intelligenza artificiale, le tecnologie di simulazione e tutti gli strumenti che l’informatica ha messo a disposizione della ricerca hanno avuto, stanno avendo e soprattutto avranno un impatto incredibile.

Tuttavia, l’innovazione nel mondo 4.0 è soprattutto un processo interdisciplinare che trasforma conoscenza di molteplici campi in applicazioni e dispositivi una volta impensabili.

Oggi l’innovazione è più che mai la conquista di un individuo che lavora insieme ad altri individui.

Team piccoli di persone super competenti e super equipaggiate realizzano risultati incredibili.

Mentre un tempo qualunque attività di sviluppo richiedeva ingenti capitali, oggi l’innovazione è un fenomeno pervasivo, che attraversa tutte le classi sociali e che è alla base del funzionamento dell’ascensore sociale dei paesi più lungimiranti ed avanzati.  

Ma cosa cambia veramente nella manifattura e nelle macchine industriali?

Per rispondere a questa domanda è bene avere chiari alcuni aspetti del presente.

In Italia si parla spesso del cuneo fiscale e del costo del lavoro. Non si dice spesso, tuttavia, che il nostro paese è ben lontano dall’essere il “peggiore”.  Siamo attualmente solo i terzi e prima di noi, al secondo posto dopo il Belgio, abbiamo la “virtuosa” Germania.

Quello che oggi consideriamo “industria”, ovvero il tipo di attività che si basa su stabilimenti con impianti per manifattura e trasformazione, è un settore decisamente automatizzato, dove il costo del lavoro è arrivato a valere mediamente meno del 20%.

Con l’avvento delle tecnologie digitali, anche i servizi vengono “industrializzati”.  Amazon è il più grande supermercato del mondo ma non ha nemmeno una cassiera.

Tornando al tema delle filiere produttive, se è vero che il costo del lavoro le affligge meno di quanto si pensa, qual è la chiave di lettura per valutare la competitività, o la mancanza di competitività delle industrie?

Evidentemente l’aspetto più rilevante è la capacità degli impianti di essere:

  • disponibili, ovvero funzionanti con il minimo delle interruzioni;
  • performanti, ovvero capaci di produrre il più possibile durante il tempo di funzionamento;
  • affidabili, ovvero in grado di realizzare lavorazioni non affette da problemi di qualità.

Queste tre caratteristiche si misurano con un solo indice, noto con la sigla O.E.E., ovvero: Overall Equipement Effectiveness

Il punto è che, tanto nei paesi occidentali che in quelle che ci ostiniamo a chiamare “economie emergenti”, il tema dell’OEE degli impianti industriali ha la massima attenzione.

L’industria, ovvero la produzione di prodotti, è la componente di PIL che attiva le altre componenti di PIL.  Molto difficile, infatti, immaginare un’economia fatta di soli servizi, senza un tessuto di produzione a mantenerla.

Dal grafico precedente si evince che il PIL italiano è cresciuto soprattutto nei servizi, mentre l’industria e l’agroalimentare, seppure con punte di eccellenza in molti ambiti, sono rimaste meno rilevanti. Tuttavia, sono proprio i settori produttivi quelli che rappresentano il vero traino dell’economia.

Oltre alle notevoli eccellenze rappresentate da alcuni dei nostri segmenti manifatturieri, l’Italia presenta anche importantissime esperienze proprio nella realizzazione di macchine industriali, soprattutto per la meccanica, oil and gas, metallurgia e industria pesante.

La posizione dominante di alcune nostre realtà, unita al cambio generazionale ed al tradizionalismo delle nostre filiere, tuttavia, ci vede in netto ritardo nello sviluppo di una vera strategia per il 4.0.

Oggi siamo arrivati ad un passaggio epocale. Quello in cui si sviluppano in tutto il mondo sistemi per le macchine interconnesse e per la manutenzione predittiva. Il tema della manutenzione, infatti, è al centro della competitività degli impianti e quindi delle industrie.

Ecco in breve un tracciato del percorso evolutivo delle attività di manutenzione.

Oggi la tecnologia sta attraversando il guado per arrivare al paradigma prescrittivo.

Il mercato della manutenzione predittiva è quello prevalente in tutto il settore dell’automazione industriale, ed è ovvio che sia così.

Sul tema delle macchine “Cyber fisiche” e della capacità di innovare con forza i settori che abbiamo citato e sulla capacità di cogliere tutti i vantaggi delle nuove tecnologie in tutti i settori si gioca la partita del futuro. Tutto in una finestra temporale che non dura più di 10 anni e che vede una capacità di ingresso sempre più stretta man mano che il progresso va avanti fuori dai nostri confini.

Il tema della manifattura additiva, ovvero della stampa 3D, ci vede certamente in ritardo, mentre dalla fine dei tempi gloriosi dell’Olivetti, le tecnologie digitali hanno visto il nostro paese fuori dai ruoli di protagonista, con pochissime eccezioni.

Ora il progresso si sposta verso l’industria pesante. Se non siamo pronti perderemo tutti i nostri primati e i nostri vantaggi competitivi.

Questo è il valore della scommessa che la “transizione 4.0” rappresenta per il nostro paese.

Come stiamo affrontando questa sfida?

Sfortunatamente l’Italia non ha da moltissimo tempo alcun che di simile ad una strategia industriale.

Oggi più che mai si sceglie di distribuire pesce alla popolazione, invece di assicurarsi che tutti abbiano una canna da pesca e sappiano ben utilizzarla.

Con la legge Calenda, che assegnava importanti sconti fiscali per l’acquisto di macchinari interconnessi e per le attività di ricerca e sviluppo, per quanto avesse margini di miglioramento per alcuni aspetti di definizione degli ambiti, ha avuto un effetto letteralmente dirompente.

Finalmente il mondo delle imprese italiane, sempre più spesso chiuse in dinamiche associative e visioni contrarie al concetto stesso di interdisciplinarità, ha cominciato a parlare di innovazione e digital transformation.

I governi con la partecipazione del Movimento 5 Stelle hanno fermato questo processo. Nei fatti hanno demolito una politica, quella di Calenda, che certamente, come tutte le cose nuove avrebbe avuto margine di miglioramento, ma che aveva finalmente portato alla giusta attenzione il tema della transizione 4.0.

Ma di che cosa avrebbe bisogno l’Italia?

In Italia manca sostanzialmente l’idea della “filiera dell’innovazione”. Manca una strategia che cerchi di sviluppare questa filiera in modo organico. Manca la consapevolezza del peso delle scelte della PA per lo sviluppo del mercato e della supply chain interna.

In altre parole, se vogliamo che la nostra industria modifichi le proprie attrezzature, c’è bisogno che qualcuno produca gli elementi di innovazione per operare questa transizione.

Per avere il massimo risultato abbiamo bisogno che i “fornitori di innovazione” non siano tutti all’estero, pronti a vendere tecnologia alle nostre imprese ed allo stato. Abbiamo bisogno noi di sviluppare il segmento degli “innovation makers”, ovvero quello dei professionisti e delle imprese che offrono innovazione alle altre imprese.

Questo aspetto era ben presente nella legge Calenda. Infatti, il credito d’imposta per le imprese che  commissionavano attività di ricerca e sviluppo “extra muros” era di maggiore entità, ovvero il cinquanta per cento dei costi sostenuti, se il fornitore era una Startup innovativa, una PMI innovativa od una università o altro ente di ricerca. In caso contrario il bonus riconosciuto era del 25%.

Dunque, una spinta verso l’innovazione all’industria ed una spinta forse ancora più importante verso la creazione di una “supply chain” interna, fatta di professionisti ed imprese italiani in grado di sostenere questo percorso.

Abbiamo codificato i concetti di “startup innovativa” e “PMI innovativa”.  Abbiamo introdotto il concetto di “Innovation Manager” e per istituire i rispettivi albi il nostro paese ha speso tempo prezioso e risorse.

L’idea era quella di investire danaro pubblico, sotto forma di credito di imposta, per sostenere l’incontro tra “innovation makers”, ovvero chi fa innovazione, e “innovation seekers”, ovvero chi ne ha bisogno per trasformarla in opportunità di mercato. Niente è perfetto, ma era certamente qualcosa.

Ora, nella visione del mondo a cinque stelle e loro sodali, chi traghetterà il paese nella transizione 4.0?

Dopo lunga attesa, nei giorni scorsi, appare, inquietante, la risposta.

L’atlante i4.0, ovvero il portale dove le imprese che vogliono digitalizzarsi possono trovare le strutture che faranno brillare il loro futuro.

https://www.atlantei40.it/

E chi sono le 600 strutture sul territorio nazionale che sapranno realizzare tutta l’innovazione che serve al nostro paese?!

Ecco qui, direttamente dalla guida alla consultazione del “portale”.

L’Atlante i4.0 nasce con l’obiettivo di aiutare le imprese nella conoscenza e nell’individuazione delle strutture che offrono servizi e strumenti a supporto dei processi di digitalizzazione e di innovazione tecnologica.

In questa pagina è possibile consultare una breve descrizione delle strutture censite, rimandando poi alle singole schede informative per conoscere più approfonditamente le attività proposte da ciascuna di esse.

La ricerca delle strutture presenti nell’Atlante i4.0 può avvenire con due modalità:

  • attraverso la sezione “Mappa” per geolocalizzare le strutture adottando semplici e veloci criteri di ricerca, tra i quali: provincia di interesse, tecnologia 4.0 di specializzazione, attività e servizi offerti, settori produttivi di intervento, ecc.
  • attraverso la sezione “Elenco” per visualizzare tutte le strutture censite che rispettano i criteri di ricerca usati.

I dati presenti nell’Atlante sono in continuo aggiornamento e integrazione: pertanto si consiglia di verificare le informazioni in esso contenute, anche a distanza di brevi intervalli temporali, al fine di avere un quadro sempre aggiornato e puntuale sugli attori presenti a livello nazionale che operano a supporto dei processi di transizione 4.0.


Competence Center

I Competence Center (o Centri di Competenza ad alta specializzazione) sono una delle tre strutture previste dal Network nazionale Impresa 4.0 assieme ai Digital Innovation Hub delle Associazioni di categoria ed ai Punti Impresa Digitale delle Camere di commercio.
I Competence Center sono dei poli costituiti in forma pubblico-privata (secondo il DM 12 settembre 2017 nr. 214) per svolgere le seguenti attività relativamente alle nuove tecnologie 4.0, tra cui:

• orientamento alle imprese, in particolare alle PMI;
• attività di formazione su applicazioni reali delle tecnologie utilizzando, ad esempio, linee produttive dimostrative e sviluppo di casi d’uso;
• attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale.

DIH – Digital Innovation Hub

I Digital Innovation Hub sono una delle tre strutture previste dal Network nazionale Impresa 4.0 assieme ai Competence Center ed ai Punti Impresa Digitale delle Camere di commercio.
I DIH sono appartenenti alle Associazioni di categoria che hanno presentato un progetto di rete al MISE e questo è stato valutato positivamente. Hanno l’obiettivo di fornire servizi specialistici di assistenza alle imprese sulle tecnologie 4.0 e sui processi di digitalizzazione, tra i quali:

• diffusione conoscenza su tecnologie abilitanti;
• mappatura della maturità digitale delle imprese;
• corsi di formazione su competenze avanzate specifiche per settore;
• orientamento verso i Centri di trasferimento tecnologico e i Competence Center;

I DIH hanno una dimensione regionale o interregionale.
Le Associazioni di categoria che hanno costituito una rete di DIH autorizzati dal Ministero dello Sviluppo economico sono: Alleanza delle Cooperative Italiane, CNA, Compagnia delle Opere, Confapi, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Confindustria.

PID – Punti Impresa Digitale

I Punti Impresa Digitale (PID) sono una delle tre strutture previste dal Network nazionale Impresa 4.0 assieme ai Competence Center ed ai Digital Innovation Hub delle Associazioni di categoria.
I PID sono costituiti all’interno delle Camere di commercio d’Italia ed hanno l’obiettivo di fornire servizi di primo orientamento, formazione e informazione delle imprese (in particolare micro, piccole e medie imprese) sulle tecnologie 4.0 e sui processi di digitalizzazione.
I servizi offerti dai PID sono generalmente i seguenti:

• attività informative e di primo orientamento sulle tecnologie abilitanti;
• assessment digitale, per misurare il livello di maturità digitale dell’impresa
• sostegni economici per la digitalizzazione, attraverso l’erogazione di voucher;
• servizi di orientamento verso gli altri attori del Network Impresa 4.0

CTT – Centri di Trasferimento Tecnologico

Sono centri che svolgono attività di formazione, consulenza tecnologica e servizi di trasferimento tecnologico negli ambiti di operatività individuati dal Ministero dello Sviluppo economico.
Per poter essere accreditato CTT, tali strutture devono possedere specifici requisiti definiti nel decreto direttoriale del 22 dicembre 2017 la cui conformità è verificata e rilasciata ai sensi del decreto direttoriale del 23 Dicembre 2019.

ITS – Istituti Tecnici Superiori


Gli ITS hanno una strategia fondata sulla connessione tra formazione in aula ed esperienza lavorativa in azienda che può essere svolta in regime di apprendistato. I temi oggetto della formazione proposta dagli ITS sono costruiti attraverso una progettazione condivisa e partecipata da tutti i soggetti interessati (imprese, università/centri di ricerca scientifica e tecnologica, enti locali, ecc.) con l’obiettivo di fornire agli allievi competenze di elevato livello di specializzazione immediatamente spendibili nel mondo del lavoro e, al contempo, una risposta al loro fabbisogno di figure specializzate da inserire nei processi aziendali.
Sei sono le aree tecnologiche dell’offerta formativa degli ITS: Efficienza energetica, Mobilità sostenibile, Nuove tecnologie della vita, Nuove tecnologie per il Made in Italy (Sistema agroalimentare, Sistema casa, Sistema meccanica, Sistema moda, Servizi alle imprese), Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali – Turismo, Tecnologie della informazione e della comunicazione.

Incubatori Certificati

Gli incubatori certificati sono società di capitali definite ai sensi del 
D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla Legge 221 del 17 dicembre 2012 che offrono servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di startup innovative. Per poter essere riconosciuti “incubatori certificati”, tali strutture devono possedere i seguenti requisiti:

a) disporre di spazi, anche immobiliari, adeguati ad accogliere startup innovative (es. spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca);
b) disporre di attrezzature adeguate all’attività delle startup innovative, quali sistemi di accesso in banda ultralarga alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;
c) essere amministrati o diretti da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e avere a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;
d) avere regolari rapporti di collaborazione con Università, Centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a startup innovative;
e) avere adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a startup innovative.

FabLab

I FabLAB sono strutture che offrono professionalità e strumenti specifici per la fabbricazione digitale, con specifico riferimento a: stampanti 3D, frese a controllo numerico, laser cutter, macchine per il taglio vinilico, postazione di saldatura e lavorazione elettroniche. I FabLab offrono assistenza operativa, educativa, tecnica e logistica alle comunità locali e alle imprese.
Nel presente Atlante I4.0 sono stati inclusi i FabLab che rispettano i requisiti internazionali definiti nella FabLab Charter (cfr. http://fab.cba.mit.edu/about/charter/).


Quindi sostanzialmente:

Innovation Manager, Startup Innovative e PMI Innovative sono semplicemente sparite.

Vediamo chi è rimasto allora.

Competence center, Digital Innovation Hub e PID sono strutture di istituzione molto recente. Il Decreto è del 2017. Quindi non parlerei di strutture dotate di grande esperienza. Tuttavia, niente da eccepire se un portale presenta queste strutture e le promuove per quello che sono.

Poi ci sono i CTT. Centri di Trasferimento Tecnologico. Si tratta di centri che svolgono attività di formazione e consulenza tecnologica, nonché di erogazione di servizi di trasferimento tecnologico verso le imprese negli ambiti di operatività individuati dal ministero dello Sviluppo economico, tra i quali la manifattura additiva, la realtà aumentata, l’internet delle cose, il cloud, la cybersecurity e l’analisi dei big data.  

Da notare il fatto che, per ottenere la certificazione di CTT è necessario realizzare un punteggio e uno dei temi di maggiore importanza è il contatto con centri di ricerca pubblici ed università.

Io penso che, per come è fatto il sistema attuale italiano, sarebbe molto meglio spingere la ricerca privata e dare delle vere opportunità ai giovani invece che dar da mangiare a un sacco di burocrati inutili per poi aspettarsi dei risultati da gente non guadagna nemmeno quel che serve per vivere.

Questa è una mia opinione ovviamente. Tuttavia, in un portale come quello che stiamo illustrando la presenza dei CTT si spiega.

Poi ci sono gli ITS. Ora mi si perdoni l’ardire. Gli ITS sono istituti di scuola superiore. Belli sicuramente. Ottima idea sicuramente. Non so bene come un’impresa che deve fare innovazione di processo o di prodotto possa rivolgersi ad un ITS. Che fanno? Una ricerca?! La tesina?!

Comunque, a parte la discutibile utilità di questi soggetti, ci sta che ci siano.

Dopo gli ITS, abbiamo gli incubatori certificati. È noto il fatto che il sistema degli incubatori in Italia non è precisamente il migliore del mondo. Spesso si tratta prevalentemente di operazioni immobiliari ed i risultati per le imprese che vi nascono non sono spesso brillanti. Gli incubatori hanno certamente la capacità di favorire le proprie imprese.

Tuttavia, queste imprese, proprio perché piccole ed all’inizio, difficilmente sono all’altezza dei progetti più rilevanti.

Infine ci sono i FabLab.

Questi ultimi sono sostanzialmente dei “service” dove si ottengono servizi di stampa 3D. Ora, i servizi di stampa 3D non sono affatto cosa rara. Basta cercare su google e ci sono centinaia di siti che ti mandano i prodotti stampati qualche giorno dopo se tu gli mandi il file.

Soprattutto, i FabLab non sono strutture del mondo associazionistico. Non promuovono la ricerca universitaria. Non sono istituti di beneficienza. Sono imprese private, esattamente come tutte le altre imprese private che fanno innovazione. Non c’è assolutamente nessun motivo per cui queste aziende debbano essere presenti su questo portale.

Non c’è nessun motivo perché una quota pur minuscola delle tasse che la mia società e le altre società simile alla mia pagano sia impiegata per promuovere quelli che di fatto sono dei concorrenti e che non hanno assolutamente alcun titolo differente da quelli che abbiamo noi.

Non esiste alcuna legge, ne logica consuetudine che privilegi le imprese appartenenti a questo raggruppamento rispetto alle altre imprese offrono servizi simili o servizi migliori o differenti legati ad innovazione, fabbrica 4.0 e attività di ricerca e sviluppo.

Nella migliore delle ipotesi abbiamo l’ennesima espressione di un governo che tratta con leggerezza ed imperdonabile competenza un tema fondamentale per il futuro del nostro paese.

A parte i FabLab, che comunque sono una presenza evidentemente impropria e marginale, le altre strutture non presentano alcuna reale capacità di produzione propria. Si tratta solo ed esclusivamente di strutture di promozione, divulgazione ed intermediazione. Strutture che si riferiscono ad un mondo associativo con dinamiche ben note e non certamente innovative.

In un mondo che corre attraverso i canali della rete verso la disintermediazione, noi ci affidiamo ancora una volta alle logiche più vecchie del mondo. Dovremmo insegnare ai nostri giovani talenti ad essere autonomi ed a stare sul mercato con le proprie risorse, andando a cercare i propri clienti.

Dovremmo dare spazi ed agevolazioni a questi giovani piuttosto che spendere soldi per mantenere strutture di intermediazione e divulgazione che non producono realmente nulla.

Dobbiamo creare un sistema dove talento, competenza e lavoro siano un valore e siano il primo potente motore dell’ascensore sociale.

Pensiamoci un attimo. Cosa dovrebbe fare un’impresa che “vuole digitalizzarsi” per mettere in atto il proprio proposito?

Semplice, si collega al portale e trova uno dei soggetti preposti e poi?!

Poi il lavoro vero chi lo fa?

Come facciamo a sapere che gli intermediari facciano il loro lavoro con la giusta competenza? In fondo esistono solo dal 2017. Possiamo presupporre che conoscano davvero tutte le tecnologie disponibili?

Le varie associazioni coinvolte faranno veramente l’interesse della collettività e delle imprese o il proprio? (come peraltro hanno sempre fatto).

Finiremo nella solita logica clientelare e statalista dove guadagnano tutti e tutti si danno lustro tranne il ricercatore universitario precario al quale, alla fine, toccherà fare un lavoro che, evidentemente, non sarà in grado di fare come dovrebbe essere fatto.

Risultato: Soldi spesi inutilmente per giustificare gli stipendi dei soliti vecchi burocrati. Talenti che continuano a fuggire dall’Italia, e che anzi andranno ancora più veloci. La grande maggioranza delle imprese italiane non diventeranno protagoniste del cambiamento e continueranno a comprarlo all’estero, diventandone alla fine dipendenti anche nei settori in cui oggi siamo leader.

L’Italia non ha bisogno di questo. L’Italia ha bisogno di una politica industriale seria.

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